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Il mio viaggio nella storia del cinema: dal 1960 al 1964

Sono quasi al termine della mia carrellata nella storia del cinema, perché attualmente mi sto godendo la visione dei film del 1969, nice, e ne avrò certo per 2 mesi. Quindi col prossimo post mi metto in pari, ma intanto ecco qualche spunto per questi 5 bellissimi anni di cinema che sono la prima metà degli anni '60.
1960
Di quest’anno ho visto 275 titoli e ho dato almeno un 8 a 47 film, è un grande anno di cinema ma ne segnalo giusto 5, e tutti italiani! E per complicarmi la vita non parlo né della Dolce Vita, né dell’Avventura, né di Sordi e nemmeno della Ciociara. Mi sono piaciuti? Certo che sì, perché a qualcuno no?
Era notte a Roma” di Rossellini mi piace tantissimo. Intanto è il mio film preferito con Giovanna Ralli, che prima della Ferilli c’era lei, e poi c’è Leo Genn (Petronio di Quo Vadis?), il mio beniamino Renato Salvatori e in un ruolo commovente il russo Sergey Bondarchuk, il quale tra l’altro nel 1959 aveva diretto e interpretato l’intenso e ottimo “Il destino di un uomo”. Torniamo alla Ralli che in piena WWII vive in una casa all’ultimo piano di un palazzo ed escogita gli espedienti del caso per portare a casa un po’ di zucchero, del vino o della pasta. Siccome è sveglia, i partigiani la scelgono per ospitare in gran segreto tre soldati alleati su in soffitta. La Ralli si ribella ma alla fine fa il suo dovere, e i 3 sono al sicuro. Per accedere al soffitto c’è un passaggio segreto dietro l’armadio (Anna Frank mi viene in mente), e i 3 diventano amici tra loro e amici suoi. Ora però il problema è che siamo in guerra e che è un film di Rossellini, non di Walt Disney. Quindi tenetevi pronti.
Adua e le compagne” invece è un gran cast al femminile capitanato da Simone Signoret con il buon supporto di Emmanuelle Riva e Sandra Milo. Molto prima di “Ciro! Ciro!” la Milo era attrice di culto degli anni ’60, e non solo in mano a Fellini. In quest’anno per esempio è accanto a Lino Ventura in “Asfalto che scotta”, per dire. Certo è la Milo, la voce è quella, la figura è quella, la verve anche. Qui hanno da poco chiuso le case chiuse e sfrattato le Signorine che le popolavano. Signoret decide quindi di mettersi in affari e avviare una trattoria in un casolare di periferia insieme alle amiche. Faranno a turno in cucina e ai tavoli, e magari se qualche cliente vuole qualche massaggio, perché no? L’idea funziona e la trattoria va bene, ma le amiche cominciano a voler cambiare vita, o si rendono conto che in realtà non possono. Ci sono quindi 4 reazioni diverse causate dagli eventi che si susseguono. È un film in cui si sorride e che ti dà un po’ di malinconia, ma si sente l’odore di frittata, di cipolla, di basilico.
Dolci inganni” di Lattuada è il primo film che ho visto con Catherine Spaak. Per me la Spaak era una presentatrice tv. Da ragazzo guardavo Harem, o anche Forum quando lo presentava lei. Sì, sapevo che aveva recitato, ma non ci avevo mai fatto caso veramente, mi aspettavo un paio di film senza pretese. Invece, anno dopo anno nel mio percorso cronologico mi accorgo che nella prima metà degli anni ’60 la Spaak aveva i ruoli migliori, era bellissima, brava e tra le attrici più famose. È stata una rivelazione per me. Teniamo presente che la Spaak aveva nel 1960 solo 15 anni. Era bravissima! Per l’età che aveva spesso aveva parti alla Lolita. Qui ad esempio è attratta da un amico di famiglia che ha quasi 40 anni. La Spaak era seducente, fresca, intrigante. Gran sorriso. Questo film e anche altri successivi mi sono parsi modernissimi: la settimana prima vedi le attrici americane con le gonne a campana e il filo di perle del dado Knorr, la settimana dopo c’è la Spaak che flirta con un architetto. Magnifica.
La maschera del demonio” è uno dei film del filone italiano horror. Quando leggo horror penso al sangue e alla motosega elettrica, quindi non faccio una faccia contenta, mi stufo. Però a fine anni ’50 si attiva questo piccolo genere in cui emergono mostri e vampiri che in breve si afferma e crea uno stile invidiato ovunque. Sì, qui una donna viene uccisa con una maschera piena di chiodi acuminati, ma non devi metterti le mani davanti agli occhi perché fa troppo impressione. C’è il giusto bilanciamento tra suspence, storia, effetti speciali e ridicolaggine. Non sono film di livello A+ però sono veramente tipici di quest’epoca, ti fanno capire meglio di altri il gusto di chi andava al cinema in questi anni e per questo per me sono interessanti.
Rocco e i suoi fratelli” è un film che voglio rivedere, ma non so quando sarò pronto per rivederlo. Quest’impressione me la fanno pochi film, quelli che mi colpiscono così in profondità che devo prepararmi psicologicamente alla visione successiva, e anzi devo prima capire se voglio affrontarla. Schindler’s list, Se7en, Casino e Full Metal Jacket sono altri film che mi hanno fatto lo stesso effetto. Dunque qui abbiamo una famiglia di emigrati che va a vivere in un seminterrato a Milano. Sono tanti in poco spazio e si arrangiano. La matriarca è l’ottima Katina Paxinou che capisce e gestisce con pochi sguardi. I figli sono Rocco e i suoi fratelli. C’è qualcosa di buono in questi ragazzi, ma c’è anche la vita in agguato. Le strade che prendono sono forse prevedibili se vogliamo, ma questo le rende anche più tragiche. Una donna entra nella vita dei fratelli Alain Delon e Renato Salvatori. Ora, c’è una scena in cui Alain Delon è disteso sul letto, un po’ sbilenco, con lo sguardo rivolto verso la telecamera, e quella scena è indelebile nella mia memoria, è come se Visconti mi sussurrasse all’orecchio quello che vuole dire. Ma ovviamente il dramma che si consuma tra Salvatori e Girardot è ovviamente il cuore del film ed è la scena che non voglio mai più vedere, perché nel farlo perderebbe forse la carica di sorpresa, sgomento, emozione che mi ha trasmesso la prima volta e ci resterei male, o peggio ancora mi renderebbe ancora più sorpreso, sgomento ed emozionato della prima volta, e ci resterei secco.
1961
Di quest’anno ho visto 250 titoli, e 45 hanno preso almeno 8. Compresso tra due anni fantastici, il 1960 e il 1962, qui mi esalto meno, ma ci sta.
Madre Giovanna degli angeli” di Jerzy Kawalerowicz è uno di quei film che ti fa sentire figo e intellettuale già solo a pronunciare il nome del regista, ma il punto è che mentre scrivo queste righe ho in mente la scena della suora posseduta dal demonio che spalle al muro fronteggia il giovane sacerdote inviato nel convento a indagare, e capisco che quest’immagine così potente è scena da grandi film. Tutto il film è inquietante e malato, intanto sembra più vecchio di quello che è, pare realizzato negli anni ’40, il che secondo me aggiunge disagio alla visione. Però negli anni ’40 alcune scene sarebbero state solo abbozzate e il film avrebbe avuto un diverso impatto. Il prete scoprirà come mai il demonio ha preso possesso del convento?
L’anno scorso a Marienbad” di Alain Resnais è un film che non ci ho capito niente. Lo confesso. Tuttavia, mentre lo guardavo con estrema perplessità ne restavo ugualmente affascinato. Come un bimbo che è schifato da uno scarafaggio spiaccicato sul pavimento e però vuole vederlo ancora più da vicino, più passavano i minuti e più cercavo di capire dove voleva andare a parare Resnais, più mi arrendevo e mi lasciavo ipnotizzare. Alla fine non mi interessa se non ci ho capito niente, so solo che per un’ora e mezza sono stato preso e portato in un altro posto e ho visto qualcosa che non avevo mai visto prima. Per cui, mi è piaciuto.
La primavera romana della signora Stone” di José Quintero invece è un bel melodramma. C’è una signora che fa un viaggio a Roma e si imbatte in un giovane gigolò. Tutto qua ma attenzione: lei è Vivien Leigh e lui Warren Beatty. La Leigh aveva 50 anni mentre Beatty 25. Lei era una rosa conservata tra le pagine di un vecchio diario, lui è il rumore dell’acqua del mare sugli scogli; nello sguardo di lei ci sono tante risposte, quello di lui ti fa fare mille domande. Bellissima e tormentata la Leigh nel suo penultimo ruolo, bellissimo e spavaldo Beatty nel suo secondo ruolo: combinazione da non perdere.
I peplum andavano tanto a inizio anni ’60. Cinecittà era invasa da sandali, toghe, Circi e Meduse. L’epoca d’oro di questo genere è quella che va dal 1958 al 1963 circa. Per ogni Marvel di oggi c’erano 2 Ursus all’epoca. Sansone, Argonauti, Macisti contro Zorro e assurdità del genere. Grandi massi di polistirolo, matrone romane coi capelli stile Jackie Kennedy, ave Cesari e muscoli luccicanti, la gente adorava i peplum. Tante erano le star di questo genere che però non riuscirono a farsi un nome al di fuori. Tutto finì probabilmente con 2 film e cioè la Caduta dell’impero Romano, che fu un fiasco, e Cleopatra, che mandò il genere in burnout e dopo nessuno ne voleva più sentire parlare.
I musicarelli, a loro volta, erano un genere tipico degli anni ’60, In realtà si estendono più o meno dal 1958 al 1972, ma trovano l’apice coi vari Gianni Morandi, Rita Pavone, Caterina Caselli e Little Tony, quindi verso il 1964-67. Bisogna considerare che da Modugno in avanti i canzonettisti dei primi anni ’50 erano già surclassati. Andavano ora gli urlatori. Nasce una generazione di artisti fortunatissima, che in gran parte ancora oggi ha largo seguito, basti pensare a Mina, Vanoni, Celentano, che si affacciano volentieri al cinema di quegli anni. I musicarelli si somigliano: ci sono giovani protagonisti il cui amore è osteggiato dalle famiglie o giovani di talento che cercano di farsi strada nel mondo della canzone. Questi sono i temi. I primi musicarelli sono sequenze di canzoni intercalati da qualche scena con Nino Taranto onnipresente, i successivi sono un po’ più maturi e le canzoni sono più integrate con le storie. Per esempio quelli con Morandi sono così. Verso la fine degli anni ’60 c’era già invece un cambiamento nel gusto sia musicale sia proprio culturale, e si vede che il genere sta per arrivare al capolinea.
1962
Quanto mi piace quest’anno di cinema! Forse è il mio preferito di sempre? Ne ho visti 254 di titoli e ho dato almeno 8 a ben 81 titoli. Secondo me è perché non mi aspettavo che mi piacesse così tanto, provo a spiegare. Quando ero ragazzino io i protagonisti del cinema italiano di questi anni mi sembravano così vecchi e antiquati, che a prescindere io non li amavo e mi rifiutavo di vedere questi film. Sapete come succede coi ragazzi, per loro una moda di 3 mesi fa è archeologia. Quindi quando in tv uscivano Manfredi, Tognazzi, Gassman, Sordi, Mastroianni & co, sbruffavo e dicevo uff che palle e me ne andavo a giocare al Commodore64. Questa è la mia epoca. Ora, trascorsi 40 anni, fedele al mio proposito di guardare di tutto senza preconcetti e con gli occhi di chi vede per la prima volta questi film, resto sorpreso: siamo in un’epoca d’oro del cinema italiano e non solo: le città, le auto, gli abiti, i modi di dire, i gesti degli attori di tutti gli anni ‘60, mi riportano flash dei miei genitori, dei miei nonni, delle persone che vivevano negli anni prima che nascessi io. È come assaporare momenti di una vita che non hai potuto vivere, è bello! Queste cose di cui sto blaterando hanno senso solo a livello personale, certo, d’altra parte questa rassegna “è personale” e non ha la pretesa di indicare quanto oggettivamente di meglio sia uscito in questi anni. Tenuto a mente ciò ecco 5 titoli, giusto per non fare impazzire la scrollbar di chi legge. E lo so che non ho messo Sorpasso, Baby Jane, Antonioni, Kubrick, Frankenheimer e Gregory Peck.
L’angelo sterminatore” di Bunuel è sorprendente. Questo regista aveva iniziato molto tempo prima, 33 anni, col corto d’avanguardia “Un cane andaluso”, quello della lametta negli occhi per intenderci. La sua fase surrealista è importante però mi intriga meno. Dopo un lungo periodo di titoli passati in secondo piano, negli anni ’50 comincia a girare film tra virgolette più classici. Il Bunuel degli anni ’60 per me è a livelli eccezionali. Nell’angelo sterminatore c’è un ritrovo con molte persone che bevono e conversano e flirtano e si disprezzano a vicenda. Ogni volta che qualcuno prova a andar via cambia idea, o viene bloccato, o succede qualcosa di strano per cui non riesce. All’inizio nessuno ci fa caso, ma col passare delle ore inizia a montare l’ansia perché è chiaro che sono tutti intrappolati, come in una sorta di incantesimo. Man mano scarseggia il cibo, l’acqua, e la volontà cede: non riescono ad andar via, sono in gabbia, intrappolati. Il titolo, e il motivo per cui questo succede ognuno lo deve capire da solo.
Anna dei miracoli” non ha niente a che vedere con le aureole ma è la storia molto commovente di una ragazza con gravi disabilità e della sua maestra, che sono Patty Duke e Anne Bancroft. Mentre per tutti la ragazza non è che un caso umano da trattare praticamente solo col pietismo, per la Bancroft è un essere umano capace di comprendere e apprendere, che va educato e a cui bisogna dare delle regole per il suo bene. La sfida che ha davanti la Bancroft è tremenda, perché per ottenere pochissimi risultati ci vogliono settimane di lotte. Il film è una grande prova di attrici, entrambe spettacolari. C’è una lunghissima sequenza nella sala da pranzo, quando Patty Duke si rifiuta di mangiare in ordine e la Bancroft si ostina a insegnarle come fare, che ti lascia senza fiato.
L’uomo senza passato” è un film di un regista francese, Bourguignon, con un protagonista tedesco e cioé Hardy Krueger, e una ragazzina talentuosissima, Patricia Gozzi. Hardy è un veterano, che soffre di amnesia in seguito agli choc subiti in guerra, e vive una vita solitaria e malinconica. Un giorno incontra una ragazzina con la quale stringe un rapporto di amicizia. Lei è sola e ha bisogno di una figura paterna, lui è solo e ha bisogno di sentirsi utile e di voler bene a qualcuno. C’è tanta tenerezza in questo film, e malinconia. Per quanto solo a leggere di un’amicizia tra un veterano e una ragazzina molti subito possono pensare a risvolti poco piacevoli, qui non è mai in discussione l’eventualità che possa succedere qualcosa di male alla ragazzina. Kruger è un gran attore che rifiutò anche una nomination ai Golden Globe ai suoi tempi. La Gozzi a mio parere è tra le migliori baby star di sempre. Al suo attivo solo 6 film nei quali però è sempre formidabile.
L’odio esplode a Dallas” è un film di Roger Corman con William Shatner prima che finisse sull’Enterprise. Shatner non è mai stato uno di quei attori per cui ci si strappa i capelli, ma è bello vederlo in un ruolo diverso da quello a cui siamo abituati. Questo film è bello perché ti sorprende, siamo dopo tutto in piena fase di integrazione razziale, che nonostante Rosa Parks o MLK era ben lungi dal verificarsi compiutamente. Questo film ti mostra un lato del razzismo violento e intenso con gli occhi dell’epoca, senza voler fare troppe morali o senza intenti puramente educativi. Qui c’è l’odio razziale, le croci che bruciano, le scuole per soli bianchi, l’incitazione alla violenza. È un film avanti per i suoi tempi.
Il lungo viaggio verso la notte” è un’opera teatrale trasportata al cinema per la gioia di Katharine Hepburn che così poteva avere per le mani pane per i suoi denti. I personaggi sono solo 4, una famiglia che si ritrova e che si rinfaccia le cose, si racconta le cose, si scopre, si allontana e si riavvicina. È uno di quei drammoni familiari in cui quando un personaggio dice qualcosa per ferire gli altri, ti tiri i piedi dall’imbarazzo. Si segue naturalmente volentieri perché i 4 attori sono tutti di primo livello. Oltre alla Hepburn c’è il veterano Ralph Richardson, c’è Jason Robards e c’è Dean Stockwell che era una baby star a fine anni ’40 e che è riuscito ad avere una lunghissima carriera. Nei primi anni ’60 Stockwell sembra quasi il fratello minore di James Dean. Pare che sul set facesse freddissimo per cui Stockwell si aiutava con l’alcool, al che la Hepburn era indignata, ma quando lo venne a sapere gli regalò una coperta.
1963
Sono ben 289 i titoli che ho visto, con 57 a cui ho dato almeno 8. I miei preferiti in assoluto sono 8 e mezzo e gli Uccelli di Hitchcock, ma scrivo 2 righe su altro.
Blow job” di Andy Warhol è una specie di documentario in cui vediamo il volto di un ragazzo e le espressioni che fa mentre fa sesso. I film di Andy Warhol per me sono veramente dei relitti di altri tempi. Certo negli anni ’60 Warhol era uno degli artisti di prima categoria, ma se parliamo dei suoi film e dei suoi documentari, non dei dipinti allora scusate un attimo. Ne ho visti un sacco e sinceramente non me ne importa niente se faccio la figura di chi non ha gusto o e non ne capisce, ma li trovo orribili, una lotta testa a testa con quelli di John Lennon e Yoko Ono, se è per questo. Mi volevo togliere lo sfizio di dirlo.
Il servo” di Losey, invece qui si ragiona, c’è Dirk Bogarde che entra a servizio nella casa di una coppia che ha i suoi alti e bassi. “Sì signore, certo signore, come desidera signore”. Col tempo, studiata bene la situazione e i caratteri dei padroni le cose cominciano a cambiare. “Se proprio crede signore, come meglio crede signore, appena riesco signore”. Più la coppia scoppia più Bogarde inizia ad avere la meglio nel suo braccio di ferro psicologico col padrone e i ruoli fatalmente si invertono. Bogarde si mette bello comodo in poltrona, e che sia il padrone a mettergli le pantofole, adesso. Questo personaggio è rimasto come forse il più memorabile dell’attore inglese prima della fase Visconti.
La ballata del boia” di Berlanga è il film che mi ha fatto dire “ok mi piace Nino Manfredi”. Per me fino a qualche anno fa era solo Mastro Geppetto, non è colpa mia. Invece negli anni ’60 Manfredi incarna l’uomo medio italiano meglio di chiunque altro. Tognazzi era uomo virile e dai grandi appetiti, Gassman era esuberante e pieno di cazzimma, Mastroianni era sensuale e fatalista, invece i ruoli di Manfredi erano quelli di persone che subiscono gli eventi, che subiscono il rapporto di coppia, che devono ingegnarsi per venire a capo delle cose. Era possibile immedesimarsi in Manfredi. In più era dotato di grande talento comico, anche nei ruoli tragici bastavano due espressioni per farti sorridere anche quando gli capitava di tutto, come in questo caso, in cui sposa una giovane il cui padre è un boia e per tradizione tocca al figlio ereditare il mestiere del genitore, quindi da un giorno all’altro Manfredi ora deve svolgere le esecuzioni dei detenuti, anche se non ha il pelo sullo stomaco. Divertente.
I gigli del campo” è uno dei tanti film degli anni ’60 con Sidney Poitier che si afferma come icona culturale assoluta. Questa storia semplice vede Poitier giungere per caso nei pressi di un piccolo convento. La madre superiora convince Poitier a lavorare per loro, hanno intenzione di ristrutturare un po’, ma Poitier aveva ben altri programmi. Alla superiora non interessa un bel niente dei programmi di Poitier perché se è lì, vuol dire che Dio l’ha voluto lì. Ne vengono fuori tanti dialoghi divertenti, Poitier fa la sua espressione come per dire “che pazienza che ci vuole con questa”, la superiora Lilia Skala è bravissima e in tutto ciò Poitier si affeziona alle suore e trova anche il suo scopo nella vita.
Nella prima metà degli anni ’60 la tv era ormai nelle case di tutti gli italiani, i quali amavano gli sceneggiati, Canzonissima, Mike Bongiorno e il telegiornale. Abbondano i documentari che mostrano i vari aspetti dell’Italia del boom, un Italia ancora molto eterogenea ma per questo tanto interessante da raccontare. Si possono trovare in giro tanti documentari come “Fazzoletti di terra” in cui due contadini si costruiscono le loro terrazze per coltivare sollevando una a una delle grosse pietre a mano. Una vita passata a spezzarsi la schiena. Poi ci sono le interviste sui temi d’attualità ad esempio “In Italia si chiama amore”, e i docu geografici che mostrano le costruzioni di dighe, dei tralicci per la corrente, di sopraelevate e autostrade, che io trovo assolutamente affascinanti. Andavano poi i cosiddetti Mondo film, che erano documentari su temi scabrosi, in genere erotismo e pornografia (tipo “Mondo di notte”, ma affrontavano anche altri temi, per esempio era scioccante “Mondo cane”. Per quanto riguarda gli sceneggiati della prima metà degli anni ’60 vanno citati almeno “La cittadella”, “Il mulino del Po” e “una tragedia americana”.
1964
Il 1964 è un altro anno strabiliante per me. Ho visto 372 titoli tra film, corti, documentari, serie tv. Ho dato 8 o più a 65 di questi. Questo è l’anno della famiglia Addams e di Vita da Strega, è quello in cui parte la serie di Angelica e va di moda Sellers, Ursula Andress, Julie Andrews, Louis de Funes e Gianni Morandi. Bette Davis e Joan Crawford si dedicano al mystery con sfumature horror e diventano famose le sorelle Dorleac: una morirà giovanissima, l’altra ancora oggi è conosciuta in tutto il mondo come Catherine Deneuve. Antonioni gira il suo primo e bellissimo film a colori, Connery è alle prese con Goldfinger prima, con la Lollo e con Hitchcock poi, e la rana in Spagna gracida in campagna. Trionfo per i primi spaghetti western e per Leone, emerge la Sandrelli mentre in declino Doris Day. Classico dei classici per Loren-Mastroianni in “Matrimonio all’Italiana”. Insomma un anno di infinite squisitezze.
Seven up!” è un’idea molto interessante: si tratta di documentare la vita di alcuni ragazzi a distanza di 7 anni. Il primo documentario esce quindi nel 1964, il secondo poi nel 1970 (14 anni), poi 1977 (21), 1984 (28), 1991 (35), 1998 (42), 2005 (49), 2012 (56) e 2019 (63 up). Con la regia di Apted, attraverso le interviste vediamo cosa è successo nelle vite di queste persone.
La caccia” di Manoel de Oliveira regista portoghese morto a 106 anni, è un corto in cui due amici decidono appunto di andare a caccia, ma senza fucili, così niente di male può succedere. Quando si dice il caso: uno finisce nelle sabbie mobili, e sta all’altro amico escogitare il modo per salvarlo.
La donna di sabbia” di Hiroshi Teshigahara è un Thriller nel quale un entomologo va a caccia di insetti in una zona desertica e finisce in una fossa nella quale c’è una capanna con una donna, che trascorre la vita a spalare sabbia, come in un supplizio di Tantalo, ogni santo giorno, per evitare di essere sepolta. L’entomologo è stato intrappolato lì affinché possa contribuire al lavoro della donna e trascorrere con lei il resto della vita. Come un insetto in trappola, l’uomo cerca in tutti i modi di scappare.
“L’uomo del banco dei pegni” è un film di Lumet con Rod Steiger, due garanzie insomma. C’è un ebreo che lavora in un banco dei pegni. Trascorre la sua vita a valutare gli oggetti che gli porta la gente, privato ormai di ogni emozione. Il suo giovane commesso non è niente per lui, i suoi clienti non sono niente per lui. Osserva gli oggetti, li stima al ribasso, ci mette l’etichetta e così passa la giornata. C’è una donna che prova a mostrargli segnali d’affetto: non è niente per lui. Quest’uomo respira, ma non è vivo. Pare che fosse uno dei ruoli preferiti da Steiger, attore dalle scelte molto coraggiose che negli anni ’60 spesso lavora con registi italiani, anche in piccole produzioni. Il film è pieno di sentimenti da scavare in profondità, che esplodono con violenza nella parte finale.
Zorba il greco” è l’amicizia improbabile tra Anthony Quinn e Alan Bates. Quinn è Zorba, che non ha paura di niente e si butta a capofitto nella vita e nelle esperienze. A lui la gente piace, ci parla, ci ride e ci beve, si fa anche i fatti degli altri ma è generoso se serve, e comunque manda avanti la sua vita. È estroverso al 100% ed è un personaggio interessante interpretato magnificamente da Anthony Quinn, attore dalla lunga carriera. Alan Bates è gentile, preciso, riservato, discreto, riflessivo. Non si lancia, chiede permesso, è un tantino represso ma è un buon amico e una brava persona. Quinn adotta Bates e gli cambia la vita. Finiscono per conoscere una donna sola che è Lila Kedrova, che vive nel passsato. Mostra le gambe, si veste coi pizzi, finge una felicità che non possiede più, si comporta da adolescente. La Kedrova cerca ancora la vita e Quinn la accontenta. Questi personaggi così diversi raccontano una storia interessante. Memorabile la morte della Kedrova, con le vecchie del paese che vanno a saccheggiare la casa. Bates è uno degli attori più sottovalutati degli anni ’60 e ’70.
Un giorno di terrore” è il titolo italiano di “Lady in a cage”, che forse è meglio, si tratta di Olivia de Havilland, che è una scrittrice che ha avuto un incidente e quindi è costretta temporaneamente alla sedia a rotelle, quindi si muove nella sua bella casa grazie a un ascensore che la porta dal piano delle camere al soggiorno e alla cucina. Il figlio va via per il fine settimana, ma represso dalla madre ha propositi suicidi, ebbene Olivia resta sola in casa. Purtroppo per lei va via la corrente quando l’ascensore è a metà, e così resta sospesa. Salire non può, scendere non può, saltare nemmeno, arrampicarsi non se ne parla. Suona l’allarme, ma nessuno sente. Non esistevano mica gli smartphone, qui si rischia di restare in ascensore molto, molto a lungo. Succede quindi che un ubriacone entra in casa e sotto gli occhi impotenti della de Havilland pensa bene di accumulare un po’ di refurtiva. Non contento, va a chiamare altri suoi amici, più delinquenti e spregevoli che mai. Capitanati da James Caan, questi teppisti metteranno a ferro e fuoco la casa della de Havilland che guarda impotente quello che accade. Bellissimo e dimenticato titolo che vale la pena riscoprire in onore della mega star di recente morta alla bella età di 104 anni.
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Esperienza - Ho dovuto utilizzare il fondo di emergenza

Bungiorno a tutti di ItaliaPersonalFinance
Spesso sentiamo parlare del "fondo di emergenza" e discutiamo del suo valore. Voglio raccontarvi brevemente la mia esperienza ora che mi sono trovato a doverlo utilizare. TL;DR in fondo.
Storia: A maggio un'azienda mi propose un lavoro con un ottimo stipendio. Firmai la proposta di assunzione. Dato che avrei dovuto cambiare città, diedi le dimissioni dal posto precedente tenendommi un paio di settimane libere tra la fine del lavoro e l'inizio di quello nuovo, per cercare casa tranquillo.
Trovai la casa, pagai l'agenzia (circa 650 €). Diedi i primi tre mesi di caparra (1.500 €) e pagai il primo mese di affitto (500 €). Firmai inoltre per 3 mesi di preavviso. Mi trasferisco. Apro utenze, compro un po' di arredo (letto, materasso ecc).
Tre giorni prima di iniziare il nuovo lavoro, salta tutto. Lavoro non più disponibile. (Non voglio approfondire, ma è successo un casino). Mi casca un po' il mondo addosso.
Dopo tre giorni, botta di culo. Mi chiama un'azienda con cui feci più colloqui qualche mese prima, che mi vuole fortemente. Concordiamo inizio per il primo settembre. Contratto ottimo. Firmo subito.
Do immediatamete la disdetta all'appartamento, ma devo comunque pagare altri tre mesi. Nel frattempo, mi ritrovo disoccupato per 3-4 mesi in attesa del nuovo lavoro. Cerco una nuova casa nella nuova città. La trovo. 1.800 € di caparra, 600 € primo mese, 700 € costo di agenzia.
In pratica, senza lavoro, mi sono trovato a dover fronteggiare uscite di quasi 7.000 € per le due case (è vero, la caparra me la ridanno, ma è comunque un flusso in uscita e bisogna avere quei soldi), escludendo il mio tenore di vita, il mangiare, la macchina, il tagliando e assicurazione in scadenza, le uscite con gli amici e la fidanzata (altri 3.000 € stimo).
Praticamente, il mio fondo di emergenza di 10.000 € (che molti, come leggevo, reputano esagerato per la mia età), è stato prosciugato nel giro di poco.
Ma ora semplicemente non mi rimane che ricostruirlo con calma, mentre gli investimenti rimangono dove sono a fruttare. Il fondo di emergenza mi ha permesso di non disinvestire altri soldi nel peggior momento di mercato. Ho deciso di riportare questa storia, per mostrare quanto velocemente possano andare a rotoli le cose, ma anche quanto velocemente possano risollevarsi se si ha a disposizione liquidità sottoforma di un fondo di emergenza.
Buona giornata a tutti!
(e prima di investire, fatevi un fondo di emergenza. Non si sa mai)
TL;DR: Mi sono dimesso, il nuovo lavoro non ha funzionato ed ho dovuto cercarne un altro. Tra affitto e spese, ho prosciugato il mio fondo di emergenza di 10.000 € ma non ho sforato.
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Real Life Soap Opera - Episodio X: Parigi val bene una messa

ci avviciniamo alla fine della storia… probabilmente questo sarà il penultimo episodio.
ep I, ep II, ep III, ep IV, ep V, ep VI, ep VII, ep VIII ep IX
riassunto della puntata precedente: Lucia è stata cazziata da quella ficcanaso di Gertrude per la sua relazione clandestina con Renzo. Lui e Lucia inizialmente decidono di interromperla, ma subito dopo ci ricascano. Incombono poi diversi problemi: da una parte i sensi di colpa altalenanti di Lucia che minacciano di far esplodere tutto, dall’altra la sua insistenza nel cercare di tirarlo dentro a quella che sembra sempre di più una sinistra setta religiosa.
Episodio X: Parigi val bene una Messa
in questo periodo Renzo cerca di barcamenarsi tra tutte le incognite di questa storia incasinata. Frequenta Lucia senza sapere bene cosa fare sul lungo termine, cerca da una parte di evadere i suoi pressing religiosi e dall’altra di ottenere più informazioni a riguardo, e viene impietosamente preso per il culo da chiunque.
Infatti, Tonio e Bortolo sanno tutta la storia, e con loro tutti i colleghi e gli amici di Renzo. Il poveretto lavora in un open space con dentro un centinaio di persone della sua età e le storie girano, soprattutto quando sono fantozziane quanto questa.
Ora ogni volta che entra in ufficio viene accolto da innumerevoli allora Renzo quand’è che si va a messa?, come sta Pinochet? (appellativo per Lucia nato da un’incomprensione circa la sua nazionalità, e rimasto), è passato un sudamericano incazzato che ti cercava… e così via.
Un po’ per gioco e un po’ no, Renzo, Bortolo e una collega stanno cercando di mettere insieme i pezzetti di informazione che Lucia ha dato per capire quale sia effettivamente la setta a cui lei appartiene. Le informazioni in realtà sono molto poche, ma qualcosa Renzo è riuscito a farselo dire: Lucia ha detto di essere protestante, il che restringe leggermente il campo, Renzo sa anche gli orari degli appuntamenti fissi di lei, e vagamente i posti in cui lei e gli altri accoliti si ritrovano.
Con questi dati e un bel po’ di ricerche tra google e social network vari, i tre restringono il campo a due associazioni che sembrano semi-religiose: una è una robaccia new age di self-improvement americana tipo scientology che sembra fondamentalmente uno scam per farsi dare dei soldi, l’altra è un movimento di massa nato in Australia, che stando a internet riempie interi stadi e ha sedi in tutto il mondo. Entrambe le associazioni hanno riunioni settimanali e appuntamenti fissi la domenica negli orari giusti. Nessuna delle due sembra una pista troppo promettente.
Da parte sua, Lucia sta finendo i suoi corsi di Italiano e le pratiche per la nazionalità. La burocrazia italiana è nota per essere farraginosa, ma lei ci ha messo del suo: quando è arrivata in Italia infatti, per risparmiare, è andata a vivere in un paesucolo inutile di 1500 abitanti in una provincia vicina, presso una lontana conoscente della sua famiglia, che sarà d’ora in poi L’Innominato.
L’Innominato si è rivelata poi essere una persona orribile, con dei disturbi mentali non indifferenti, che maltrattava Lucia, la minacciava quando tornava a casa in ritardo, le impediva di uscire di casa e così via. Lucia è quindi praticamente fuggita dalla casa dell’Innominato per venire a vivere a Milano.
Il problema è che aveva iniziato l’iter burocratico mentre risiedeva a Roccaminchiona, e quindi risulta ancora legalmente risiedente là, e questo noon può essere cambiato. La sua pratica è seguita da un’impiegata del comune di Roccaminchiona, gentile ma non troppo brillante, che prenderà il nome di Azzeccagarbugli. Senza far scoprire all’Azzeccagarbugli che ormai sta a Milano, Lucia si deve recare regolarmente nel paesello per fare le pratiche. In contemporanea deve tenere buono l’Innominato che, agli occhi della legge, è garante del fatto che Lucia risiede sempre là.
Gertrude non si è più lamentata, forse pacificata da qualche finta rassicurazione di Lucia, forse rassegnata all’inevitabile.
Renzo e Lucia continuano con la loro frequentazione low-profile e le loro gite fuori città. è dopo l’ennesima di queste che succede il fattaccio.
PUBBLICITA’ non guardo la TV da anni e non ce l’ho nemmeno in casa. ho finito le idee. Di conseguenza l’inserzionista di oggi sarà una roba vecchissima che ricordo dalla mia infanzia: la Fabbrica Dei Mostri. Un’atroce fornetto elettrico che permette di sciogliere delle plastiche probabilmente tossiche, versarle in stampini di piombo e produrre così insetti, vermi e animaletti vari colorati. Come facessimo a divertirci con quella roba rimane un MISTERO.
Siamo arrivati ad un weekend di fine Febbraio, Renzo e Lucia hanno passato il sabato mattina a vedere un museo, il sabato pomeriggio da lei, e la domenica a visitare una cittadina d’arte a un paio d’ore da Milano. Il giorno successivo, Lunedì, Renzo chiama Lucia all’uscita dal lavoro, come consuetudine, per fare due chiacchiere e decidere se vedersi o meno la sera.
Lucia risponde in lacrime. è successo un casino, non possiamo più parlarci. Renzo riesce in qualche maniera a tranquillizzarla e a farsi dare una spiegazione: è successo che Lucia ha postato su qualche social network una foto della loro gitarella del giorno precedente. Don Rodrigo ha visto la foto sul social e, nonostante Renzo non fosse inquadrato, si è insospettito. Ha cominciato a fare domande sempre più insistenti a Lucia su dove fosse andata, con chi e così via, finchè lei non ha ceduto e ha mezzo confessato di ”aver conosciuto qualcuno con cui si trova molto bene” (Sic).
Comprensibilmente Don Rodrigo si è incazzato e ha minacciato Lucia di mollarla, il che ha scatenato un litigio tra i due.
Renzo è stanco, stressato dal lavoro e stufo di questo continuo tira-e-molla alla Charlie Brown. Dice chiaramente a Lucia che, se lei vuole evitare di creare problemi alla sua relazione con Don Rodrigo, allora la devono smettere davvero di vedersi e sentirsi. Si scusa per non esserci riuscito la prima volta e promette di non disturbarla più. Chiude la conversazione e spegne il telefono.
Questa volta niente musica triste sulla scena di lui che torna a casa: è più incazzato che dispiaciuto. Le immagini sono solo accompagnate dai rumori freddi e impersonali della metropolitana e della pioggia battente.
Bortolo scommette che ricominceranno a sentirsi dopo tre giorni, l’altra collega dice una settimana.
In realtà di giorni ne passano due, ma Lucia si muove da una direzione completamente inaspettata: senza particolari preamboli chiede a Renzo, in modo quasi supplichevole, di andare in chiesa con lei la domenica seguente. Dice che per lei è molto importante e vorrebbe che andassero insieme.
Quando Renzo le chiede diobuono non mi hai mica detto che non dobbiamo più cagarci puttana la miseria, lei risponde di stare tranquillo e che ha sistemato: ho parlato con Don Rodrigo ed è tutto ok.
Renzo non sta più capendo. è tutto ok cosa? cambiare idea ogni sei secondi? avere l’amante? andarci in chiesa? La scena di Renzo sorpreso e perplesso da queste parole deliranti è accompagnata dalle note psichedeliche di Brain Damage.
Mentre Renzo sta ancora processando e non sa come rispondere Lucia gli manda i dettagli dell’ipotetico appuntamento. Colpo di scena! E’ la setta degli australiani.
Stando a google si tratta di una megachurch pentecostale (checchè significhi) con più di ottanta sedi nel mondo, centocinquantamila presenze alla settimana, piena di soldi. è’ nata da due predicatori di Sydney, ha un sito fichissimo e una serie di scandali finanziari, sessuali e politici alle spalle.
Ogni settimana organizza un “incontro” in un teatro lussuosissimo del centro di Milano. Nella descrizione di questo incontro le parole “Amore” “Gesù” appaiono circa un miliardo di volte in tre righe.
Da una parte c’è l’incazzatura per l’irragionevolezza di Lucia, dall’altra è tornata prepotente la curiosità. Renzo probabilmente legge troppo e ha troppa fantasia: nella sua mente si generano visioni esagerate di neri che cantano gospel e ballano come nei Blues Brothers, americani in trance che svengono al tocco di predicatori-star, folle che osannano leader religiosi alla Paul Atreides in Dune.
I colleghi ovviamente lo spingono ad andare: mi metto dei baffi finti e vengo anch’io, che figata, filma tutto, dai vai, quando ti ricapita una roba del genere, finchè non lo convincono. Renzo accetta l’invito di Lucia.
Il piano è quello di andare, vedere com’è questa messa satanica, capire che idee ha Lucia, e nel caso salutarla definitivamente. Lucia è di gran lunga la ragazza più piacevole e divertente con cui lui abbia mai avuto a che fare e le è molto affezionato, ma è anche decisamente fuori di testa.
stacco sui titoli di coda sulle parole tristi e accusatorie di Sossity, You’re a Woman. Fine dell’episodio X
Pink Floyd - Brain Damage
Jethro Tull - Sossity, You’re a Woman
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Ho comprato la Moleskine di Super Mario Land.

Ieri sera sono andato a bere una birra. Uscito dal locale, dopo aver speso una ventina di euro in luppolo, ho incontrato Ishmael.
Ishmael ci chiede una sigaretta, gliela diamo volentieri e ce la fumiamo facendo due chiacchiere. Viene fuori che ha esattamente la mia età, trentasei anni, e che è nato in Ghana. Non ci ha tediato coi suoi problemi, ma mi ha fatto una serie di domande per accertarsi che la mia vita stesse andando per il verso giusto. Mi ha chiesto se sono sposato, poi mi ha prontamente chiesto se ho figli. Quando gli ho detto di no si è intristito, mi ha preso la mano e l'ha guardata come se fosse un'equazione di secondo grado:
"Tu avrai due figli. È scritto. Prova a fare questo. Prima di andare a letto, per due settimane, prega Dio. Vedrai che tua moglie ti darà due figli."
Poi mi ha mostrato la Bibbia e mi ha chiesto se ne avevo una. Gli ho detto di sì, ho spento la sigaretta nel posacenere e ho deciso di non rovinare i suoi consigli sulla fertilità con la mia filosofia childfree da strapazzo.
È un tipo strano, Ishmael, ma è simpatico.
Ci ha mostrato il suo passaporto, tutto fiero dei tanti timbri, ci ha detto che l'Italia è bellissima, che siamo brave persone e che Dio vede tutto e ha un piano. Che nel cielo c'è giustizia, anche se in terra non c'è.
Poi il commiato. Io verso la mia casa col condizionatore già acceso, perché quest'estate signora mia il caldo non finisce più, lui verso la panchina a dieci metri dal locale. Mi riprometto di dargli una mano e gli chiedo se l'avrei trovato da quelle parti il giorno dopo. Mi risponde di sì, mi saluta e mi augura buona fortuna.
Fast forward. Oggi, finite le prime traduzioni del mattino, infilo venti euro nel portafogli e vado a cercare Ishmael. Lo trovo lì, sulla sua panchina, con lo sguardo triste. È felice e grato per i venti euro che gli ho portato, ma durante la notte, mentre dormiva, gli hanno tagliato una tasca dei pantaloni e gli hanno rubato il portafogli. Quello con dentro il passaporto e la carta della Western Union che usa per spedire soldi a sua moglie e suo figlio. Mi dice che sta pensando di tornare in Ghana, ma che non sa come e cosa fare.
Gli suggerisco di andare al consolato, lo cerco sul mio cellulare fantascientifico e scopro che per fortuna è a poco più di cento metri dalla panchina. Vorrei dargli il mio numero di telefono, in caso avesse bisogno di aiuto, ma lui un telefono non ce l'ha. E io devo tornare a casa, perché ho roba da tradurre, lavoro da fare, cose da sbrigare. Ho una vita, insomma. Però ecco, realizzo che è proprio diversa.
Tornando a casa mi fermo in stazione centrale per comprare la Moleskine di Super Mario Land, pensando a tutte le cose che do per scontate:
Agrodolce. Ma più agro che dolce.
AGGIORNAMENTO 22 AGOSTO
Questa mattina sono andato da Ishmael. L'ho trovato sulla stessa panchina ed è stato felice di vedermi. Tanto per cominciare gli ho dato un foglietto con sopra il mio numero di telefono. Anche se non ha un telefono, in caso di emergenze ha modo di contattarmi.
Poi ho indagato sulla situazione. Ci sono buone notizie. Ha un permesso di soggiorno e una fotocopia della sua carta di identità (italiana) e del codice fiscale. Ovviamente sono carta straccia, per il momento, ma almeno sappiamo che li ha. Non ho modo di sapere se il permesso di soggiorno sia in corso di validità, ma vedremo.
Gli ho detto che l'avrei accompagnato in questura, che avrei parlato io e che avremmo capito cosa fare. Lui parla un inglese decente ma pochissimo italiano, quindi anche solo capire cosa fare (senza accesso a internet, poi) è un casino. Ieri aveva provato ad andare dai carabinieri, ma non ha cavato un ragno dal buco perché in realtà deve andare in questura.
Prima di andare mi chiede con un certo imbarazzo se posso procurargli dell'acqua. Ha sete e vorrebbe lavarsi la faccia prima di andare in questura. Altra cosa che do per scontata: poter essere pulito/profumato a piacimento. Fa colazione con un paio di patatine al formaggio che tira fuori dal suo sacchetto, mi fa un sorriso ed è pronto ad andare. Sulla strada mi mostra anche il foglio con i dati e i movimenti del suo account PostePay. Ieri aveva provato a farsi ridare la carta, ma giustamente senza documenti non gliela possono dare. È ovvio, ma dal suo punto di vista è frustrante e la cosa l'ha fatto arrabbiare. Il saldo sulla sua carta è poco meno di seicento euro.
Arriviamo in questura, dove il poliziotto, dopo aver visto le fotocopie dei documenti, mi dice che deve andare nella questura centrale, in via Fatebenefratelli, e che poi si vedrà. Io purtroppo devo tornare al lavoro, quindi lo accompagno alla gialla e gli spiego che deve scendere a Turati. Ha un foglietto con su scritto l'indirizzo, spero che i milanesi saranno abbastanza cortesi da indicargli la via. Gli ho detto di farmi chiamare se ci sono problemi, e che in ogni caso ci vediamo domattina alla sua panchina. Se non riesce, lo accompagno io e vediamo di risolvere il tutto. Mi auguro che trovi un poliziotto disponibile e umano.
Gli ho chiesto se vuole davvero tornare in Ghana. Mi ha detto di sì, che è quello che vuole. Che è stanco di non sapere cosa fare e di vivere su una panchina. Gli promesso che lo aiuterò e che risolveremo il problema.
Ho tirato fuori dieci euro per accertarmi che oggi avesse da mangiare, ma non li voleva. Mi ha detto che sulla sua PostePay li ha (ma sappiamo che non ha modo di prelevare e che realisticamente non lo avrà per qualche giorno), che non ha mai chiesto l'elemosina in vita sua, che non è giusto. Per convincerlo ho citato la Bibbia (io! Ateo marcio). Ishmael mi ha ringraziato e ha accettato.
Gli ho augurato buona fortuna e gli ho detto che ci vediamo domani alle 10 alla sua panchina.
AGGIORNAMENTO 23 AGOSTO
Ishmael è riuscito a fare la denuncia del furto dei documenti. Ancora non ha accesso al suo conto di Postepay (è ovvio, ci vuole proprio il documento, però comprensibilmente lui è teso per i suoi soldi e ci prova tutti i giorni). Ieri ho realizzato che perché riesca a ottenere i documenti ci vuole un aiuto più qualificato del mio, quindi su consiglio di vari amici (grazie a tutti <3) ho contattato il SAI, che ha il pregio di trovarsi a cinque minuti a piedi dalla panchina. Li ho chiamati, ho spiegato la situazione e ho dato il mio numero (con la preghiera di chiamarmi per qualunque intoppo, ma anche per le inevitabili spese di marche da bollo e affini). L'unico problema è che l'ufficio riapre lunedì, ma direi che ce la possiamo fare. Ho portato a Ishmael una borsa da ginnastica con dentro qualche maglietta, una bottiglia di sapone e tre litri d'acqua. È stato molto contento e mi è sembrato soddisfatto del piano. Il primo istinto è stato mettersi la borsa sotto le gambe, perché "qui altrimenti ti rubano tutto". Mi ha detto che è stanco di fare questa vita. E lo capisco, cazzo. Gli ho ripetuto che gli daremo una mano a tornare in Ghana, mi ha abbracciato e ci siamo salutati. Secondo me ce la stiamo facendo.
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